Violenza contro le donne
È notte fonda e imbattuto, in Commissione costituzionale, in 400 e passa emendamenti al decreto legge sulla violenza contro le donne (femminicidio) mi assalgono strane sensazioni. Sono di natura linguistica e data la gravità del tema che trattiamo, qualcuna dirà: se non ha altri problemi, ‘sto parlamentare!
Mi spiego: Mi suonano goffi certi aggettivi che recentemente si coniugano con il sostantivo “violenza”. L’esempio più frequente: “violenza domestica”. Si tratterebbe della forma di violenza più frequente e credo di aver capito di che si tratta. È la violenza fra i muri di casa, in famiglia, insomma. È grave, ma è “domestica”? Mi suona tanto dolce, intimo, incompatibile con violenza.
Che sarà la mia scarsa padronanza della lingua italiana a tradirmi? Non credo, perché gli stessi dubbi mi tormentano in tedesco ove si parla di “häusliche Gewalt”. Häuslich è qualcosa d’altro e di più del solo “im Haus”. È caldo, gemütlich, traspira il calore della stufa. Considero “häusliche Gewalt” come “violenza domestica” un sociologismo eufemistico, quindi un inganno.
Ma la notte parlamentare del “femminicidio” mi ha fatto scoprire una ulteriore comparazione di violenza ed è la “violenza assistita” che andrà ad essere punita con una speciale aggravante.
Violenza assistita? Cosa mai sarà. Per fugare subito ogni cattivo pensiero: Per il decreto-legge che stiamo trattando, è violenza a cui “assistono” bambini. Non me lo avessero detto o non fosse emerso dal contesto del testo di legge (bruttissimo), io non l’avrei capito. Mi è familiare il termine di “morte assistita”, ma non è quella a cui assistono i familiari.
Ora mi devo abituare alla “violenza assistita” in quel senso della legge? La considero una violenza alla lingua italiana. Per non essere frainteso: Aggiungo che in confronto alla violenza alle donne è un peccato veniale.
Florian Kronbichler