10 anni da “corrierista”
A dir la verità, mi manca: per dieci anni, di solito di quest’ora (sono le sei di sera), ho schiacciato il bottone “invia” e era fatta: Il mio editoriale domenicale per il Corriere dell’Alto Adige volava in redazione. Con ansia attendevo la risposta del direttore Enrico Franco che puntualmente tornava e siccome è persona generosa, solitamente il giudizio fu positivo, a volte spudoratamente positivo.
Farebbe arrossire, riportare qui certi suoi complimenti. Gli chiedevo se facesse così con tutti i collaboratori e se questo fosse il suo segreto per tenerci alto il morale (lusinghe al posto di schei, insomma), e lui faceva l’offeso. No, sarebbe stato esclusivamente per l’articolo, “pungente”, “grande”, “straordinario”… Ah, non risparmiava in complimenti, il mio direttore. Faceva sentirmi il suo prediletto fra gli editorialisti del suo Corriere, concedendomi – unico fra i collaboratori – il privilegio della giornata fissa e in più della domenica. Io ne andavo fiero, ovviamente, e se anche mi sono rovinato i sabati pomeriggi, per dieci anni ho avuto il plauso del pubblico e la fortuna di sentirmi “corrierista”.
Me lo torna in mente perché ieri sera, sabato, il mio Corrierino ha festeggiato i suoi dieci anni di vita. Fu anche il mio compleanno, editorialista dalla prima domenica di uscita fino alla mia “discesa” in politica all’inizio di quest’anno. Il direttore Franco l’ha ricordata alla festa al Museion, definendola “tradimento” , ma è il suo sense of humour.
Sono grato di quell’esperienza. E per essere sincero, rimpiango a volte di non poter più dir, la domenica, la mia sull’andazzo di casa nostra. Però, non merito alcuna compassione. Mi sento ben risarcito nella mia carica di parlamentare, e il fare politica – per dirla con Clausewitz – per me non è altro che la continuazione del giornalismo con altri mezzi.
Così come per il giornalismo anche per la politica vale che bisogna sempre vedere e valutare i problemi anche con gli occhi e il cuore di chi sta dall’altra parte (etnica soprattutto) e che ci vogliono sempre alcuni che parlino “agli altri”. Il mio scrivere in italiano, su un giornale italiano, lo ritengo il mio impegno in questo senso. È stato un lavoraccio. Ma valeva la pena. E la gratificazione è grande.
Florian Kronbichler