Fine corsa, Brennero
Ho passato ieri, sabato, mezza giornata al Brennero assieme agli agenti del commissariato di polizia, diretti dal Comandante Morelli, per prendere atto in prima persona del dramma dei profughi respinti che ivi quotidianamente si consuma. È un dramma umano di ormai bibliche dimensioni e la cosa che più deve stupire è l’indifferenza con cui società e soprattutto l’ente pubblico lo stanno ignorando. L’anno scorso sono stati 2.200 profughi, per la maggior parte siriani ed eritrei, che la polizia austriaca ha “restituito” al commissariato italiano al Brennero. Quest’anno, a fine agosto, sono stati registrati già oltre 3.000. Solo ieri, sabata con gli uffici aperti solo fino alle ore 14, ne sono stati “portati” 52: vecchi, giovani, donne con bambini. Al Commissariato, situato nella vecchia caserma di finanza, fatiscente seppur di costruzione recente, i poveri “ripescati” vengono sottoposti al rituale “fotosegnalamento”, una procedura tanto ineluttabile quanto umiliante: vengono fotografati (di fronte e di profilo), prese le impronte, registrati i dati anagrafici (posto che ce ne hanno). Parecchi non sanno un tono di inglese, unica lingua straniera che gli agenti di polizia capiscono a malapena. Interpreti? Non ce ne è uno. Mediatori culturali (dei quali tanto si parla e tanti sarebbero stati formati nei famosi corsi finanziati dal Fondo sociale europeo)? Nemmeno uno.
Spiegazione solita: manca il personale e mancano i soldi.
Eccezionalmente c’è da credere. Il personale a disposizione del comandante Morelli è quello “ordinario” destinato a presiedere l’intero territorio dell’Alta Val d’Isarco fino a Vipiteno. Il servizio-profughi è semplicemente non previsto dalla pianta organica. Me l’ha spiegato in mattinata il questore Lucio Carluccio a Bolzano di persona. Riesce difficile, in proposito, non condividere i motivi di insofferenza e la protesta del sindacato della polizia Coisp (eccette certe considerazioni palesemente xenofobe). Gli agenti in servizio mi inducono grande rispetto per quello che fanno e come lo fanno. È frequente vedere che i poliziotti passano qualcosa da bere o un panino alle madri dei bambini che attendono, intimoriti, nei corridoi della caserma. Ove necessario, gli prestano il telefonino. Tutto a proprie personali spese.
I profughi, qui vengono quasi a scadenza dei treni che passano il valico. Le sorti sono tante quante le persone, ma comunque sempre le stesse. Giunti (se giunti!) a vita nuda a qualche litorale italiano, per la maggior parte dei profughi la meta sono la Germania o uno dei paesi scandinavi, Danimarca e Svezia per i più. Se fortunati, hanno qualche parente lì che aiuta molto l’avventura. L’Italia, per comprensibili ragioni, non ostacola la “fuga” degli indesiderati dal proprio territorio.
Il collo della bottiglia è l’Austria. Sebben quasi nessuno dei siriano, eritrei, iracheni o malesi ha intenzione di sistemarsi nella repubblica alpina, fra essa e la Germania si è d’accordo di sopprimere i flussi migratori ovunque possibile. La gendarmeria austriaca, ormai sistematicamente, pattuglia i treni provenienti dall’Italia setacciandoli in cerca di “illegali”, solitamente senza documenti e muniti del solo biglietto del trento Verona-Monaco. A Innsbruck, o già a Matrei, li fanno scendere, li caricano su un pulmino e li riportano sul Brennero, “consegnandoli” ai colleghi italiani. Questi procedono al rituale “fotosegnalamento”, procedura di 20 minuti a persona, e “li rilasciamo liberi”, come eufemisticamente si esprime il comandante Morelli. Abbandonare sarebbe l’espressione più appropriata. C’è chi fa ritorno a Bolzano per cercar di regolarizzarsi alla questura, chi altro che ritenta la fuga per l’Austria, e dei più non si sa niente.
È un dramma umano in cui è difficile individuare vittime e colpevoli. I poliziotti italiani male celano critiche nei confronti dei colleghi “duri” austriaci. Ritengono se stessi più miti, più comprensivi. Tendo a crederglielo. D’altronde, la gendarmeria austriaca ha messo su una struttura provvisoria, a Gries am Brenner, ove i profughi ripresi vengono provvisti del necessario e “possono” passare la notte o il fine settimana in attesa che al Brennero riapra il Commissariato. Anche questo va detto.
È cinico, e nello stesso momento assurdo, che ora siano il capitano del Tirolo e altri suoi colleghi governatori austriaci a chiamare alla richiusura del Brennero, alla reintroduzione dei controlli di confine. Che il Tirolo storico, avviato, con Schengen, alla sua fattiva riunificazione, preferisca ritornare spaccato, pur di mettersi a riparo da chi patria non ne ha affatto? Povero Tirolo unito, se questi sono i suoi profeti! E se i profughi di guerre sono quelli che lo minano!
Florian Kronbichler