Florian
Kronbichler


Da Sarajevo

In viaggio senza il mio compagno di viaggio più fidato, e già mi sento abbandonato, anzi, nudo: Mi hanno scippato il computer portatile. È successo a Bruxelles, in aeroporto. In verità ero un po’ distratto io, non tenendolo sott’occhio per un momento, ma fu in coda al cancelletto di controllo. Proprio lì dalla vaschetta me l’hanno fregato.

Succede, ma ora, da ieri, sono qui a Sarajevo e comprenderete che ho un problema di comunicazione. Vi racconterò dopo.

Ci sono venuto per le commemorazioni a 20 anni dal massacro, chiamiamolo genocidio, di Srebrenica, dove andrò domani assieme alla presidente della camera Boldrini. Il volo ieri da Roma a Sarajevo (via Monaco) l’ho fatto assieme ad Adriano Sofri. Per puro caso e fortuna mia, mi sono imbattuto nella miglior guida possibile. Sofri ha vissuto a Sarajevo per tre anni, praticamente per l’intera guerra jugoslava, da reporter di guerra, e io, ignudo di tutto e per la prima volta da queste parti, ora credo di aver capito qualcosa.

Ricordo l’ultimo scritto di Alexander Langer, a un mese buono dal massacro di Srebrenica, e della tragedia sua propria (11 risp. 3 luglio 1995), dal titolo profetico: “L’Europa o nasce o muore a Sarajevo”.

A vedere l’Europa di questi giorni, le parallele con Sarajevo sono frappanti: case che non si sa, se in procinto di restauro o di abbattimento definitivo. I bar pieni di giovani, all’apparenza allegri, ma Sofri mi spiega, tutti senza lavoro né futuro.

Speriamo in bene. Mi costringo ad essere ottimista.

Florian Kronbichler

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