Il mio Intervento oggi in Aula in Discussione generale sulla Riforma Costituzionale
Grazie, Presidente, cara ministra, colleghe e colleghi, – –
Mi tocca fare il contraccanto al collega, amico e conterraneo Michele Nicoletti che è volato alto spiegandoci, se l’ho capito bene, che non c’è da preoccuparsi. C’è l’Europa e siamo in Europa, cosicché della Costituzione in qualche stato membro non ci deve importare più di tanto. Io mi soffermerò sul regionalismo, quello speciale in particolare. Lo faccio per una divisione di lavoro che ci siamo imposti nel gruppo.
Non lo faccio alla stregua su cui la forza politica maggioritaria della mia provincia, il Sudtirolo, affronta la riforma della Costituzione. Essa dice, sintetizzando: della Costituzione fatevene ciò che volete, basta che in essa non ci toccate la nostra autonomia. Di fatti, parlandone male che io di più non potrei, i suoi parlamentari alla fine voteranno a favore. Io non la pensa così. La Costituzione è nostra di tutti. Tutela noi tutti, e di seguito valuto e voto pure la riforma per quanto vale nella sua interezza. Non ci può essere buona autonomia all’interno di Costituzione cattiva.
Le Regioni a Statuto speciale, province autonome di Trento e Bolzano comprese, di fatti per il momento si possono considerare risparmiate dal furor centralizzatore che è caratteristica portante della bozza di riforma che ci accingiamo a ridiscutere. E non solo. Nella sua terza tornata di lettura al Senato la specialità fu messa ulteriormente al sicuro. Ne esce in parte rafforzata.
L’articolo 39, comma 13, prevedeva all’origine che le disposizioni contenute nella legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano ‘fino all’adeguamento’ dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Ora quel “fino all’adeguamento” è stato cambiato in “fino alla revisione” degli Statuti. La nuova formulazione, incontestabile, lascia più spazio di interpretazione e di manovra. E non è il solo rafforzamento. L’articolo riformulato (in forma assai bruttina, a dir la verità, in un burocratese non degno di un testo da Magna Carta, ma ciò vale per tutta la riforma), questo articolo permette che le Regioni autonome beneficino automaticamente pure dei miglioramenti previsti e prevedibili per le Regioni ordinarie.
Insomma, la forbice fra autonomie ordinarie e autonomie speciali con la riforma si aprirà ulteriormente. Su questo punto le valutazioni all’interno del nostro gruppo di Sel, ora Sinistra italiana / Sel, divergono. C’è chi sostiene che una diversificazione troppo accentuata fra ordinarie e speciali possa condurre a dannosi squilibri, una strisciante conflittualità con le regioni “normali” e a continui contenziosi di fronte alle Corte costituzionale.
Siamo tutti federalisti, anche autonomisti, ci mancherebbe. Ma siamo pur strenui difensori del principio dell’uguaglianza. Certuni fra noi si fiderebbero di più del più vincolante “fino all’adeguamento” piuttosto che del più volatile “fino alla revisione”. Però, che le autonomie speciali si debbano “adeguare” alla peggiorata normativa per le Regioni ordinarie? Sarebbe un adeguamento al ribasso. Mal comune? non può essere l’obiettivo.
Io dico, la specialità va salvaguardata. E la specialità implica sempre diversità. Se no, che specialità sarebbe? Inoltre, ragiono per logica. Il nostro gruppo, noi tutti assieme detestiamo questa riforma costituzionale per intera. La riteniamo autoritaria e centralista nella sua impostazione e sbrigativa nella stesura. Siamo contrari. Quindi, già per logica si proibisce la richiesta di un qualsiasi “adeguamento”. Le regioni ad autonomia speciale sono riuscite a chiamarsi fuori – in parte e per il momento! Che vogliamo essere noi a chiedere che si “adeguino” a qualcosa a cui siamo contrari? Sarebbe illogico. Quindi, difendo l’eccezione. E sono grato che il mio gruppo lo rispetta.
Le regioni ordinarie, bistrattate, anzi, suicidate in questa cosiddetta riforma (perché la resistenza di chi le governa, è stata semplicemente blanda, quasi collaborazionista), dico le regioni ordinarie ora farebbero male, a prendersela con le sorelle speciali. Queste, ovviamente devono essere consapevoli della propria responsabilità e agire di seguito. Mantenendo un atteggiamento solidale, sostenendo le cause delle autonomie più deboli e non esibendo di troppo la propria presunta superiorità.
In questa virtù, l’umiltà, devo dire, la mia provincia autonoma e i suoi governanti non eccellono. La massima napoleonica del “mai stravincere!” non sempre è principio guida della loro politica dell’autonomia. Solo un esempio: La Regione Trentino-Alto Adige Südtirol ha 1 milione di abitanti e si è conquistata 4 senatori nel futuro Senato. La Liguria con il 50 percento in più di abitanti ne avrà 2. La metà. Lasciamo da parte le ragioni, dubbie, un simile squilibrio rafforza l’autonomia? Va a miglior tutela delle minoranze? O piuttosto diffonde solo frustrazioni fra le regioni sorelle? È una politica miope voler far passare per diritti ciò che manifestamente sono privilegi, parola bandita dalle mie parti. Le regioni ad autonomia speciale devono rendersi consapevoli che è più utile alla loro causa un buon rapporto con le regioni limitrofi ordinarie che non l’una o l’altra competenza in più.
Metto in guardia da un altro rischio per la nostra autonomia, e i professionisti della “revisione”, prevista dalla benemerita “clausola di salvaguardia”, già ci stanno lavorando: Cercano di portare l’intero processo di revisione e di ampliamento dell’autonomia dentro alla Commissioni paritetiche. Commissioni, da noi dei 6 e dei 12, che paritetiche sono più di nome che di sostanza. C’è la maledetta tendenza di bypassare le istituzioni democratiche, Parlamento o consigli regionali e provinciali, non fa differenza. Ritengo non più sostenibile che norme di rango costituzionale vengano elaborate e in pratica decise sistematicamente ad esclusione del pubblico.
L’autonomia regionale trova la sua ragion d’essere in un più di disponibilità (verso le esigenze dei cittadini), un più di trasparenza, un più di democrazia. Tutto questo, le commissioni cosiddette paritetiche che fungono da incubatrici delle norme autonomiste, fin ad ora non l’hanno fornito. Funzionando a modo di agenzie segrete, producono norme di rango costituzionale. Il processo di “revisione” degli Statuti di autonomia non deve avvenire bypassando gli organi democratici, quindi la democrazia. Di una autonomia rafforzata al prezzo di una democrazia amputata non ci importa.
Florian Kronbichler