Florian
Kronbichler


Via Rasella, 23 marzo 1944. Se non è resistenza questa?

Siamo una società smemorata, e intendo in questo caso la società sudtirolese. Per quanto essa si ritenga coscienziosa delle proprie radici, dimentica fatti di cui avrebbe ogni ragione d’andar fiera. Noi (me incluso) faremmo bene a ricordare, anzi, a riportare a comune conoscenza un memorabile comportamento di nostri compatriotti, dalla storiografia negletta se non addirittura rimossa. Fu un atto di resistenza antinazista, resistenza magari non delle più eroiche, ma resistenza in tempi funesti e sotto condizioni rischiosissime. Un capitolo in cui soldati sudtirolesi hanno scelto di comportarsi da uomini e non da ubbidienti. Si sono attenuti, senza conoscerlo, al principio di Hannah Arendt: “Nessuno ha il diritto di obbedire”.

Ad averci riportato a memoria la storia è merito di Guido Margheri, neopresidente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) che alla ricorrenza delle tragiche date (domani, 23 marzo l’anniversario dell’attentato di Via Rasella nel 1944, e dopodomani, 24 marzo, in brutale rappresaglia ad esso, la strage delle Fosse Ardeatine il giorno dopo) ha invitato Umberto Gandini a parlare di Via Rasella e delle Fosse Ardeatine. Il noto giornalista, 40 anni fa (1979) andò a trovare in giro per il Sudtirolo e a far parlare i sopravvissuti di quelli orrendi avvenimenti.

Sebben dei sudtirolesi siano stati, nel male e nel bene, direttamente coinvolti, dalle nostre parte se ne è sentito parlare stranamente poco. Al massimo se ne parlava nel senso che i nostri erano innocenti vittime, mai del loro dignitoso comportamento. In Via Rasella, strada nel centro di Roma a ridosso del Quirinale, il battaglione del “Polizeiregiment Bozen” fu colpito da un attentato da parte dei partigiani romani. Fu uno dei più sanguinosi attentati antinazista in Europa. Fece 33 morti e parecchi feriti, tutti sudtirolesi. Come rappresaglia, Hitler stesso ordinò di uccidere per ogni soldato “tedesco” morto, dieci civili italiani.

L’ordine fu eseguito immediatamente il giorno dopo, 24 marzo 1944, dal comandante Herbert Kappler: 335 civili italiani, per la maggior parte selezionati fra i detenuti (politici) delle carceri di Roma, tutti brutalmente fucilati nelle Fosse Ardeatine alla periferia di Roma. 5 poveri uomini in più di quanti “richiesti” dall’ordine del Führer. (Kappler, detto “il boia delle Fosse Ardeatine”) apparentemente ha agito “per eccesso di zelo” e solo per queste esecuzioni “in soprannumero” fu poi condannato all’ergastolo).

E di che, in questo massacro storico, il Sudtirolo avrebbe ragione di andar fiero? Di certo non di aver visto i suoi figli vittima del criminoso attentato. È per un “merito” che stranamente non viene messo in sufficiente risalto. Il giorno dopo l’attentato subìto, ai sopravvissuti del Polizeiregiment Bozen fu chiesto dai loro superiori a far parte del plotone di esecuzione delle 335 civili italiani presi in ostaggio per vendicare i propri 33 camerati morti il giorno prima in Via Rasella.

Non è stato un ordine vero e proprio, ma un “invito” sì e anche uno premuroso. Come dire: ai sopravvissuti sarebbe stata data la soddisfazione della vendetta sugli assassini dei propri camerati. I bravi “poliziotti” sudtirolesi però, secondo le scrupolose ricerche storico-giornalistiche di Umberto Gandini, dopo essersi consultati fra di loro hanno rifiutato la “proposta”. Hanno scelto di non partecipare al massacro sul “nemico”. Se non è anche resistenza questa? Un grazie di cuore ad Umberto Gandini e a chi l’ha invitato al racconto.


Flor now
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