Florian
Kronbichler


Signora Presidente? Presidentessa?

Ministra? Signora ministro? Signora presidente? Presidentessa? Non vogliamo costruirci un rapporto causale, neanche simbolico: ma con il dibattito sul decreto-legge terremoto (interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma dell’agosto) oggi è irrotta di prepotenza in Aula del Parlamento la polemica sul linguaggio di genere.

Se ne è già fatta paladina da un pezzo la presidente della Camera Laura Boldrini. È da mese che perentoriamente ricorda ai parlamentari di servirsi di un linguaggio “corretto”, ovvero di genere, se si rivolgono a lei o altre donne. Chi fra i deputati si rivolge a lei con un “il presidente”, immediatamente si vede interrotto e corretto con un esortante “la presidente, per favore”. È il rigore femminista della presidente che all’uopo – e contro la renitente maggioranza machista della Camera -, si è procurata un parere dell’Accademia della Crusca, custode scientifica della lingua italiana, che ha definito “linguisticamente corretto e doveroso declinare al femminile i nomi in questione.

Oggi la questione del lingual correctness ha avuto qualcosa come l’approdo solenne alla Camera. Che è successo? Sono i deputati e – ad onore della verità – pure parecchie donne della destra, leghisti e leghisti in primis, che ostentatamente si oppongono all’ineluttabile, deridendo ed ignorando le sollecitazioni della presidente. La presidente però non demorde. È disposta addirittura a tirar per le lunghe la seduta, attirandosi così le ira e i moti di insofferenza di chi di principio sarebbe a favore alla “causa”. Che la prova di forza (di genere) si sia consumata su un provvedimento (a favore dei terremotati) che ha trovato l’unanimità dell’intera camera, maggioranza e opposizioni insieme, può essere ritenuto una coincidenza felice o una contraddizione penosa. La presidente Boldrini, comunque non demorderà. E io la sostengo.

Florian Kronbichler


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